Romana Loda: un atto d’amore per l’arte

Maggio, 2024
8 minuti di lettura

Romana Loda all’inaugurazione di una sua mostra. Courtesy Archivio Michele Loda

Federica Arcoraci

Tentare di ricostruire oggi, a quasi quindici anni dalla scomparsa, qualcosa della vita e del lavoro di Romana Loda è per me un’impresa molto difficile, come cercare di descrivere un quadro senza averlo mai visto; forse perché solo l’esperienza diretta, vissuta intensamente, mi avrebbe permesso di capire pienamente qual è stato il significato del lavoro e l’essenza del pensiero di una delle galleriste e curatrici più originali e travolgenti nel panorama dell’arte italiana del secondo Novecento.

Anche perché, come dice Natalia Ginzburg: “Evocare i morti senza offesa alla loro memoria e senza offesa a quelli che li hanno amati, è unicamente possibile al linguaggio della poesia. Quando la poesia è assente, si possono evocare i morti o con l’amore o con l’onestà”(1). Per questo motivo cercherò di raccontare la ricchezza e la complessità del suo pensiero con la delicatezza che merita. E, d’altronde, tutta l’esistenza e la persona di Romana possono essere raccontate ed evocate unicamente con delicatezza, con amore e con onestà, le stesse che lei usava quando scriveva i suoi testi e organizzava le sue mostre.

Di Romana ne ignoravo l’esistenza fino a un anno fa. Poi ho avuto la fortuna di imbattermi per puro caso in uno dei suoi testi, “La Rosa di Niente”, e da allora le sue parole mi hanno attraversato come ricordi che non esistono, come se la conoscessi da sempre; forse per la loro autenticità, presente in ogni riga ed inseparabile dal suo scrivere. Credo di aver adorato Romana prima ancora di leggere altri suoi scritti, come un presentimento o un sogno premonitore. Raramente in un testo scritto per una mostra mi sono emozionata tanto, tanto la sensazione era quella di trovarmi nel cuore di una confessione veritiera, bruciante, ossessiva, dalla quale si fa fatica ad uscire illesi, perché “ci scava nella testa e rimette in moto i sogni di cui avevamo perduto capacità e memoria”(2).

Da qualche tempo si è cominciato a parlare molto di Romana, soprattutto per il suo ruolo di promotrice dell’arte al femminile, partito dalla provincia di Brescia e allargatosi presto al panorama nazionale. È importante qui menzionare il prezioso contributo di Raffaella Perna, “Mostre al femminile: Romana Loda e l’arte delle donne nell’Italia degli anni Settanta”, saggio che ricostruisce l’attività condotta da Loda alla metà degli anni Settanta e utilizzato come punto di partenza per la mia ricerca di dottorato (3).

Tuttavia, per tanti anni, il suo lavoro è rimasto inesplorato e poco approfondito. Questo mancato riconoscimento è dovuto probabilmente anche al fatto che nella sua quarantennale attività di gallerista e curatrice, Loda è consapevolmente restata ai margini, anche geografici, del sistema critico espositivo ufficiale al fine di preservare la sua indipendenza. Tutto il suo lavoro, difatti, obbedisce a questa scelta, che è stata esistenziale prima ancora che operativa e che l’ha portata ad aprire la sua galleria “Multimedia” prima a Erbusco e poi a Brescia, in provincia, lontana dai circuiti dell’arte nazionale. Pur rimanendo volutamente lontana dal sistema artistico istituzionalizzato, Loda, dal 1974 al 2010, è riuscita a organizzare nella sua città mostre di artisti delle principali tendenze artistiche della neoavanguardia, spaziando dalla poesia visiva all’arte povera, dall’arte processuale al comportamentismo, dall’arte concettuale alla body art; è stata tra le prime in Italia a valorizzare pionieristicamente il lavoro di artiste all’epoca emergenti e oggi affermate come Susanne Santoro, Stephanie Oursler, Verita Monselles, Tomaso Binga, Berty Skuber, Beatriz Millar, ha sostenuto con energia e intelligenza artisti di primo piano del panorama nazionale come Carla Accardi, Ketty La Rocca, Emilio Villa, Dadamaino, Giosetta Fioroni, Ugo Carrega, Claudio Parmiggiani, Anna Valeria Borsari, Ettore Innocente, Giuliano Giuman, Giulia Niccolai, Armando Marrocco, Carla Cerati, Cioni Carpi, Augusto Concato. Ha organizzato mostre con artisti affermati del panorama internazionale come Marina Abramović, Antoni Tàpies, Gina Pane, Hanne Darboven, Valie Export, Rebecca Horn, Andy Warhol, Tom Wesselmann, Sonia Delaunay, Luise Nevelson, Niki de Saint-Phalle, Annette Messager. Infine, dal 1986 ha organizzato “Spazio Aperto”, un evento in cui ogni anno, per circa un mese, concedeva a giovani artisti la galleria, lasciandoli liberi di gestirla in piena autonomia. Tutto questo svolgendovi sempre un proprio coerente percorso di ricerca teso a un’integrazione fra i vari mezzi artistici. Loda era in questo senso eclettica: dalla volontà di combinare forme e tendenze, espressioni e mezzi, diede vita alla rassegna culturale “ALTRO”, che consisteva in serate di poesia, musica, cinema e teatro con il proposito di favorire una migliore conoscenza dei più svariati aspetti della cultura contemporanea. Un bollettino veniva periodicamente realizzato da Romana per documentare le serate di “ALTRO” e consegnato ai partecipanti a fine serata.

Come spiegato nel primo numero: “Attaccare i quadri al muro è importante, ma… è riduttivo e funzionale solo alla necessità di parzializzare gli eventi culturali, all’interno di una logica di separazione dei campi, tipica del nostro tempo (…).  E allora ci vuole “ALTRO” per una convivenza più tranquilla con l’arte e con i molteplici aspetti della cultura. Le mostre vengono integrate da serate di poesia, teatro, musica. Si fanno presentazioni di libri e riviste, incontri con artisti, poeti, scrittori. Tutto ciò in unaatmosfera volutamente variegata, senza calcare troppo sul tasto grave del termine ‘cultura’ inteso come opprimente inculcazione di principi assoluti”(4).

Romana Loda è, dunque, un caso non frequente di “multi-media”, termine non a caso utilizzato come titolo della sua prima mostra del 1974. A ciò ha senza dubbio contribuito la sua poliedrica formazione culturale, che, partita dal lavoro alla casa editrice Nova Foglio di Macerata è passata poi a quello di gallerista. E la professione di gallerista l’ha esercitata a lungo, riuscendo ad instaurare con gli artisti dei veri e propri legami d’amicizia, testimoniati anche dalle molte lettere custodite nel suo archivio e attraverso cui è possibile comprendere la sua personalità.

In una lettera a un’amica, per esempio, scopriamo il suo amore per la pioggia e la nebbia: “Aspetto con ansia la nebbia, per ritornare ai sogni di giorno, quelli che si perdono nel grigio del quotidiano e sono come quadri appesi alle pareti, finestre nei muri che ti permettono di guardare fuori quando le tempie pulsano e gli occhi si chiudono. Nebbia, pioggia e tutto il resto; basta che non sia più questo sole inquisitore”.

Tuttavia, se leggere le lettere di Romana ci permette di scoprire i suoi lati più intimi e personali, è nei testi scritti per le mostre che è possibile comprendere pienamente gli elementi della sua poetica, il cui senso più profondo è da ricercare, credo, nel modo nuovo e originale di affiancare il linguaggio dell’arte a quello poetico con risultati di altissimo livello.

Scrive, per esempio, a un amico: “Il testo per la mostra ‘Le perle delle nuvole’ parte da una leggenda e racconta di come l’arte sia in grado di produrre un valore, partendo dal nulla della materia e dall’infinito della poesia. E’ un testo poetico, non di critica d’arte, ma mi è piaciuto scriverlo perché, ogni tanto, è necessario lasciare un po’ di razionalità per abbracciare la poesia, unica risorsa che può aiutarci a vedere in una dimensione diversa da quella solita, senza che per questo sia necessario chiudere gli occhi e immergerci nel sogno”.

In tutti i suoi testi, Romana integrava le suggestioni della letteratura e della poesia, in particolar modo degli amati Pessoa, Kafka, Proust, Borges, Joyce, Svevo e Calvino: tutti autori che entrano a far parte pienamente dei suoi riferimenti letterari e spesso punto di partenza per i suoi scritti.

Così la poesia e la letteratura, in Loda, si insinuano nelle fessure dell’arte ufficiale e si incorporano nella struttura dei suoi scritti critici e saggistici, aprendo quegli “squarci” che spesso si trasformano in un unico straripante flusso verbale denso di citazioni artistiche e letterarie, e riuscendo a integrare due discipline diverse, una nell’altra, per cercarne una terza che sia più in là della semplice somma delle prime.

In una lettera a degli amici, sempre riferendosi al testo  Le perle delle nuvole scrive: “Sono qui di nuovo a impiegare una parte di una serata quasi autunnale per ricordarvi quanto ci eravamo scambiati e mandarvi un testo che ho preparato per accompagnare la prossima mostra che terrò in galleria. Un testo di poesia, non certo di critica d’arte, ma è un ulteriore pezzo di un amore mai venuto meno per gli aspetti più sensibili e toccanti della poesia pura, quella che nulla chiede per dare autentiche emozioni”.

Anche in questa lettera, Loda sottolinea che “i suoi testi sono poetici, non certo di critica d’arte” precisando il suo distacco da un certo tipo di scrittura – quella propria della critica – considerata da lei contorta e artefatta. Al contrario, Loda adotta sempre una scrittura precisa e comprensibile, che possa veicolare con maggior forza le sue idee, anche usando parole chiave ricorrenti, talvolta messe in evidenza tipograficamente. E questo perché è convinta che la scrittura sia un mezzo per comunicare, per trasmettere informazioni e sentimenti, e che chi non viene capito da nessuno non trasmette nulla, ma grida nel deserto.

“Intendiamoci”, scrive Loda, “salvo i casi limite, è di gran lunga preferibile una corretta informazione ad una critica che continua imperterrita ad esercitare l’arroganza della goccia che cade dal cielo e il terrore del richiamo ad una autorità del passato, vera o presunta che sia. Una critica di tipo legalistico, tanto per intenderci, che per desiderio di autorevolezza continua a parlare come unica depositaria di principi sovrani e indiscutibili. Esiste ancora una scelta possibile?” (5).

La domanda conclusiva è posta molto chiaramente, solo che a questa domanda Loda fa seguire una risposta enigmatica: “probabilmente” . E quel “probabilmente”, potenziale soluzione dell’enigma, ci suggerisce che, forse, è solo aggiungendo al mondo luminose scintille di poesia che l’arte può essere ancora considerata una scelta possibile. Anzi, necessaria. In conclusione, Romana Loda, gallerista coraggiosa fuori dagli schemi, con tenacia ha saputo affermare una visione dell’arte originale e lo ha dimostrato lungo tutto il corso della sua attività. Ha tentato diverse strade: dall’impegno “femminista” a quelle di una ricerca più autonoma, in cui si fa più forte l’intreccio tra motivi realistici ed esistenziali. E i suoi testi e le sue mostre, atti d’amore autentici, ci servono oggi più che mai, per imparare di nuovo il sogno ad occhi aperti, perché “andare con l’arte è camminare sui muri del sogno; piccoli passi, in nessun posto, ostinatamente”(6).

Romana Loda durante l’allestimento di una mostra, con alcune delle sue artiste, alla fine degli anni Settanta. Courtesy Archivio Michele Loda.

  1. Natalia Ginzburg, Le piccole virtù, ed. Einaudi, Collezione Nuovi coralli 21,  Torino 1972, pp. 7-8.
  2. Romana Loda, La rosa di niente, Multimedia Arte Contemporanea, Brescia, settembre 1992.
  3. Raffaella Perna, Mostre al femminile. Romana Loda e le mostre al femminile nell’Italia degli anni Settanta, in “Ricerche di S/Confine”, vol. VI, n. 1, 2015.  Si ricordano anche le due mostre omaggio dedicate a Romana Loda alle gallerie bresciane Galleria dell’Incisione e Apalazzo Gallery, l’autobiografia “Il cuore a destra”, scritto rimasto a lungo inedito e pubblicato nel 2022 sotto la curatela di Giuseppe Marchetti e Chiara Pasquali, la tesi magistrale di  Nicolò Ascione: “La ricerca e l’azione di Romana Loda sull’arte femminile a partire da “Coazione a mostrare”, e le due pubblicazioni curate da Giuseppe Marchetti “For You”, contenente le testimonianze di alcuni amici e collaboratori di Loda e “Galleria Multimedia” nella quale vengono parzialmente ricostruite le installazioni che vennero realizzate da Eliseo Mattiacci, Emilio Villa, Claudio Parmiggiani e Ettore Innocente nella galleria di Loda.
  4. Romana Loda, ALTRO, n. 1, Multimedia Arte Contemporanea, Brescia, marzo 1982.
  5. Romana Loda, Situazione tendenziosa vista da Romana Loda. Il Compasso negli occhi, in “Progetto”, n. 6, p. 10, aprile-maggio 1979.
  6. Romana Loda, Suggestioni, Multimedia Arte Contemporanea, Brescia, settembre 1989.

è dottoranda in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli; la sua ricerca di dottorato è incentrata sulla figura della gallerista e curatrice Romana Loda. Laureata in Storia dell’Arte presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, nel 2021 è stata selezionata dal Centro di Ricerca Castello di Rivoli (CRRI) per partecipare al Workshop di formazione per Archivisti d'Arte Contemporanea e, nello stesso anno,alla Masterclass per giovani curatori tenuta da Lorenzo Balbi presso La scuola di Alta Formazione FMAV. Nel 2022 ha ricevuto il Premio Nazionale per gli studi di Museografia e Museologia, istituito dalla Fondazione Ezio de Felice, con la sua tesi magistrale Ripensare il ruolo dell'istituzione museale nel contemporaneo: una prospettiva critica e dialogica. Possiede un'ampia esperienza professionale acquisita presso musei, associazioni culturali, fondazioni e gallerie d'arte. Dal 2023 scrive per la rivista “Exibart”.

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